Dal 1981 al 1990

1988

A Taranto, oltre ai consueti lavori di controllo e recupero in occasione della posa o dell’ampliamento di condutture e di servizi si è impostato un programma di intervento nel quartiere della Città Vecchia. Com’è noto, da tempo il comune di Taranto prosegue un progetto di risanamento del patrimonio edilizio del quartiere che, oltre all’interesse intrinseco, ha il merito di conservare sotto di sé i resti dell’insediamento più antico della colonia spartana e gli eventuali residui di insediamenti ancora precedenti.

La Soprintendenza archeologica è arrivata un po’ in ritardo rispetto alla progressiva realizzazione del programma di restauro architettonico: ma anche così non ha potuto opporre resistenza alle insistenze portate dagli architetti Franco Blandino e Mario Carobbi né, tantomeno, alla necessità di cercare di analizzare e conoscere quanto la millenaria storia edilizia di Taranto avesse prodotto. Grazie alla collaborazione della Associazione Temporanea di Imprese, composta da B.L. Appalti s.n.c. capogruppo; impresa geom. Argento; impresa geom. Cassalia; impresa d’Alessandro; cooperativa l’Internazionale, è stato possibile avvalersi dell’esperienza della cooperativa CAST che ha seguito tutte le fasi dell’esplorazione.

Queste si sono attuate in quattro zone principali: largo San Martino; vico Fuggetti prospiciente la chiesa dei SS. Cosma e Damiano; largo Pentite; l’area antistante l’oratorio di San Paolo. Si sono inoltre raccolte tutte le informazioni e le documentazioni possibili a proposito di reimpieghi ed adattamenti in tutta la vasta area interessata dai lavori in corso.

L’esemplificazione della stratigrafia e dei ritrovamenti può essere costituita dal saggio nel largo San Martino. Dal XVI secolo si può considerare questa zona come all’aperto, parzialmente occupata da una cisterna. Tale sistemazione rimpiazza una successione abitativa, impiantatasi intorno al 1.000 Circa d.C. Le strutture conservate indiziano l’esistenza di edifici, dei quali rimangono alcuni muri ortogonali fra loro, con pavimenti di battuto e di lastricati in pietra, corredati da almeno un focolare e da fosse di scarico. La frequentazione medioevale ha profondamente intaccato e sconvolto la documentazione insediativa antica. Non sarà, tuttavia, questa l’unica causa dell’assenza di reperti riferibili al periodo romano, sia tardo-repubblicano sia imperiale. Infatti, si può seguire, sia pure con qualche difficoltà, una continuità di frequentazione dal periodo alto-arcaico fino al V-IV sec. a.C. In quest’ultima fase è stata in uso un’imponente struttura in blocchi squadrati, conservati su tre assise, delle quali le due inferiori sono quelli di fondazione, per uno sviluppo documentato di m. 9. Alcuni dei blocchi sono distinti da lettere dell’alfabeto greco. La funzione della struttura non è evidente: l’ipotesi di lavoro che si è finora seguita, senza peraltro evidenziare decisivi elementi probatori, è che si tratti di uno dei due parametri di un muro di difesa, vista anche la posizione topografica sul c.d. salto di quota che delimita a settentrione la città verso il Mar Piccolo. Precedente a questa notevole opera, era in attività una struttura, a pianta quadrangolare, costruita con blocchi e lastre di pietra: si tratta di quanto resta di una probabile abitazione di epoca arcaica, come, fra l’altro, indica la presenza di resti di un pithos. A sua volta, la frequentazione arcaica è impostata su livelli riferiti alla vita di una struttura, dotata di focolare, frequentata dal periodo del Bronzo Finale al Tardogeometrico, che ha restituito numerosi frammenti ceramici, il cui approfondito studio permetterà di precisare ulteriormente la vaga indicazione cronologica che mi scuso di presentarvi adesso.

Da quanto ho tentato di schematizzare, spero comunque risulti l’interesse e la possibilità di sviluppo delle esplorazioni urbane condotte a Brindisi e a Taranto.

Per una meditazione più completa mi permetto di ricordarvi l’esistenza delle relazioni, per quanto preliminari, edite nel Notiziario.

Come ognun sa, l’archeologia urbana sta prendendo una voga ed uno sviluppo sempre maggiori: di ciò è testimonianza, anche qui da noi, la realizzazione della mostra allestita in alcuni locali della Città Vecchia in precedenza visitati in questo Convegno. Tuttavia, la prosecuzione, necessaria, di questo genere particolare di tutela richiede che la Soprintendenza si possa dotare di strumenti di archiviazione e registrazione dei dati che solamente le tecnologie informatiche, oggi, permettono. Tant’è che si era richiesto un apposito finanziamento all’interno dei programmi delle due edizioni della legge 449: ma del triste esito di questi si è già detto in premessa.

Non ci resta che lavorare per il futuro. Futuro che deve prevedere il modo di tutela e di valorizzazione di quanto si è venuto conoscendo. A Taranto, proprio perché si tratta di un programma concordato, appare che le fasi della conoscenza e della valorizzazione procedono di pari passo, mentre per Brindisi non si è potuto altro che richiudere e ripavimentare il cortile. Tuttavia a Taranto la realizzazione dei progetti in corso per continuare a rendere visibili e visitabili le strutture antiche non chiude il problema. Occorre che si sfrutti più ampiamente il patrimonio culturale che si riporta alla luce. In considerazione di quelle che sono le esigenze più avvertite nella prassi quotidiana della Soprintendenza, ci si sente autorizzati a proporre, sia pure sommessamente, che in uno degli edifici ristrutturati della Città Vecchia trovi sede una scuola di specializzazione per tecnici della tutela. Più ed oltre che per archeologi direttivi, occorre nella Soprintendenza la presenza di professionalità di restauratori, disegnatori, fotografi, assistenti, geometri specializzati nelle diverse applicazioni della tutela pratica. Visto anche che le attività di formazione svolte centralmente lasciano piuttosto a desiderare, una scuola del genere che si propone andrebbe incontro ad esigenze assai diffuse, oltre a svolgere una funzione qualificante nel campo occupazionale, in specie nel Mezzogiorno d’Italia.

Certo, una scuola di questo genere non risolverebbe problemi accademici, ma darebbe un contributo, forse decisivo, alla operatività e professionalità delle Soprintendenze, per le quali si spendono molte parole, ma sembra di vedere pochi fatti.

PIER GIOVANNI GUZZO