Dal 1971 al 1980

1976

A Saturo, che i nostri ultimi scavi hanno inequivocabilmente dimostrato corrispondere al sito dell’antica Satyrion, primo insediamento laconico nel Golfo e, secondo le fonti, legato alle vicende delle origini spartane di Taranto, abbiamo continuato, quasi ininterrottamente, fruttuose campagne di esplorazioni archeologiche, incentrate in uno dei luoghi più suggestivi di quella contrada, cioè nella vallecola della fonte detta Satyria, dal nome della ninfa eponima del luogo, leggendaria figlia di Minosse e madre dell’eroe Taras.

Ai margini diruti della valle, da molti indizi si ha motivo di credere nella presenza di un primitivo santuario in grotta, ora in completa rovina (Tav. XCVI, l), che – come ipotesi suggestiva – potrebbe risalire ad un antico culto indigeno della Ninfa, in età arcaica forse in ipostasi con quello chtonio coloniale, cioè di provenienza spartana, di Persephone-Kora, a cui più tardi, sembra ricongiungersi, sotto l’influsso di Taranto, il culto di Afrodite.

Abbiamo rilevato ciò da un primo esame della ricchissima messe di materiale raccolto nelle numerose favissae rinvenute sul luogo: le più antiche, del VI e V sec. a.C., spesso in costruzioni di pietre, come questa traboccante di vasetti votivi (Tav. XCVI, 2); le più tarde in forma di bothroi, stracolmi di ceramica e terrecotte votive del IV e III sec. a.C., quasi sempre intenzionalmente frantumate (Tav. XCVI, l).

Fra le statuette più antiche raccolte nella stipe notevole è una testa di tipo dedalico, di circa m. 0,10 di altezza, assolutamente identica all’esemplare che nell’ormai lontano 1959 avevo raccolto sull’acropoli di Satyrion e per il quale avevo istituito uno stringente confronto con una testa fittile cretese, dal Jenkins ascritta al suo «middle dedalic group» databile al 655-645 a.C. (Tav. XCVII, 1). Tardo-dedalica e di tipo xoanico è una statuetta di divinità stephanephoros, certo Persephone, di schietta produzione locale o tarantina della fine del VII o degli inizi del VI sec. a.C. (Tav. XCVII, 2). A questa età va ascritta infatti la bellissima ceramica paleo-corinzia e meso-corinzia che ogni giorno i nostri assistenti Campi e Barone raccolgono nella stipe insieme a numerosissimi altri prodotti d’importazione, le cui forme vanno via via prodigiosamente ricomponendosi per la cura con cui i nostri restauratori provvedono alla selezione dei materiali. Fra questi si annoverano pezzi con scene mitologiche, come la caccia al cinghiale calidonio, o con sfilate di guerrieri a cavallo e a piedi, spesso nobilitati da iscrizioni didascaliche, evidentemente in alfabeto corinzio, come nel frammento con la scritta mutila Qras-[macoj], di palese valore etimologico, e in quello con l’inizio di un nome che abbiamo integrato così: ’Iδ [omενεύj] il mitico re di Creta di omerica memoria (Tav. XCVII, .3).

Assai ricca è nella stipe in argomento anche la ceramica laconica, che occupa cronologicamente gran parte del VI secolo e la cui insistente presenza, come a Taranto, attesta eloquentemente i legami con Sparta, la madre- patria (Tav. XCVIII, 2).

Sovrabbondante inoltre, a partire dalla metà circa del VI sec., è la ceramica attica a figure nere (Tav. XCIX, l), fra cui ritroviamo addirittura frammenti di anfore panatenaiche: caso non raro in un santuario e che rivela come il sentimento religioso dell’atleta devoto lo abbia spinto ad offrire alla divinità l’anfora dipinta ch’egli aveva ottenuto in premio nelle gare ateniesi in onore di Athena (Tav. C, l-2).

Pure numerosa è la ceramica attica a figure rosse, che raggiunge la metà inoltrata del V sec. a.C., quando cominciano a comparire nella stipe i primi prodotti tarantini, fra cui qualche frammento di vaso del «Pittore della danzatrice di Berlino» (Tav. XCIX, 2).

Naturalmente, ai fini dell’attribuzione del santuario, nulla può apparire più probante e determinante che il ritrovamento di epigrafi dedicatorie. L’esame accurato del materiale di scavo ci ha consentito di selezionare un buon gruppo di frammenti appartenenti ad un’anfora attica a figure nere con la rappresentazione lacunosa della lotta di Herakles e il Tritone, facilmente attribuibile, anche per la firma apposta ai lati della scena. al pittore attico Exekias, operante – come è noto – nel terzo venticinquennio del VI sec. a.C. (Tav. CI, l).

Ma il fatto oltremodo interessante ai fini della nostra indagine è l’aver trovato incisa, sull’orlo dell’anfora e nel dialetto dorico locale e tarantino, l2l seguente iscrizione mutila del nome del dedicante, ma fortunatamente completa dell’epiteto della divinità a cui fu offerto il vaso (Tav. CI, 2). Vi si legge a chiare lettere: … ὰν]έϑεχε

λíδι cioè «un tale (o la tale) dedicò (sott. quest’anfora) alla basilis». E qui ci chiediamo: ma chi è questa dea regina per antonomasia, che compare insistente nella stipe anche in altri reperti epigrafici più recenti?

Come è noto βασιλίς si trova unito al nome di molte divinità femminili. A Taranto l’epiteto è di Afrodite, a Catania di Persephone; altrove nel mondo greco βασιλίς è Demetra, mentre in Argo è Hera. A Satyrion, se – come sembra – il santuario va in origine connesso col culto di Satyria, da Pausania detta: ἐπιχωρíα νύμφη e dagli autori latini: Minois regis Cretensium filia, l’epiteto di basilis ben si addice a questa divinità locale delle acque sotterranee, facilmente collegabile, secondo una nostra ipotesi espressa più sopra, col culto chtonio di Persephone all’arrivo dei coloni lacedemoni, a cui si unirà più tardi, come forse a Locri, il culto di Afrodite, che a Taranto – come si è detto – è la βασιλίς per eccellenza. Del resto qualche studioso, come il Giannelli, ha giustamente rilevata la tendenza caratteristica della dea dell’amore e della bellezza ad associarsi nel mondo greco al culto degli dei principali e spesso a quello delle divinità locali.

Ecco dunque qui, nel santuario di Saturo, un esempio calzante di4 questa antica consuetudine, che ha altri riscontri, nell’entroterra metapontino, a Timmari, a giudicare dalla nota stipe che stiamo finalmente pubblicando.

Ritornando alla nostra rapida rassegna dei materiali raccolti a Saturo, va osservato che nel corso del VI e intorno alla prima metà del V sec. a.C. l’iconografia delle terrecotte votive, che è tipica di Taranto e con forti influssi ionici ed attici, è in apparenza generica (Tav. XCVIII, l); mentre nella seconda metà del V secolo cominciano a delinearsi le caratteristiche proprie del culto di Persephone (Tav. CII, l), che ritroviamo, ad esempio, negli analoghi santuari del «Pizzone» a Taranto e di Heraclea in Lucania, nota sub-colonia precipuamente tarantina.

Nel IV secolo abbiamo ancora nella nostra stipe indizi sicuri del perdurare del culto di Persephone, a giudicare da statuette in cui la dea è rappresentata ignuda e a mezza figura, significando il suo sorgere dalle viscere della terra (anodos) (Tav. CIII, l a), a meno che, per questa peculiare nudità, non si voglia intendere un’ipostasi della dea con Afrodite, le cui origini chtonie del culto del resto sono a tutti note.

Il maialino sacro a Demetra e Kore, il χοῖρος μυστιχός dei riti eleusinii (Tav. CIII, l b), ci riporta tuttavia al culto proprio della dea degl’Inferi, che qui non ci appare mai associata ad Hades, come nei pinakes di Locri ed in quelli di Taranto e Metaponto.

A partire dalla metà del IV sec. a.C. nel santuario di Saturo si manifesta prepotentemente l’esclusivo affermarsi del culto di Afrodite, certamente per gl’impulsi promananti da Taranto e superbamente attestato da una miriade di terrecotte di arte squisitamente tarantina, in cui la dea è raffigurata seduta, vestita o ignuda (Tav. CII, 2), e nella molteplice varietà di forme, atteggiamenti e acconciature che l’imperante ellenismo le conferisce ad esaltazione dell’ideale di bellezza muliebre (Tav. CIII, 2).

Non mancano naturalmente nella stipe, per questa età, vivaci soggetti di genere e richiami immediati al teatro locale, a giudicare da tutta una serie di fresche statuine e di petulanti mascherine.

Gli scavi a Saturo continuano con successo, grazie anche agli interventi preziosi di tutela della zona da parte dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, a cui va il nostro grato riconoscimento.

Per Taranto dobbiamo segnalare la recentissima scoperta di tombe in via Dante, via Polibio e via Medaglie d’Oro, in relazione alla recente ripresa dell’edilizia urbana, che ci ha consentito di esplorare ampie aree dell’antica necropoli. Si tratta di sepolture del IV e III sec. a.C., in cui i nostri assistenti D’Elia e Marturano, quasi giornalmente, raccolgono ceramiche apule insieme a qualche gioiello di fattura tarantina.

FELICE GINO LO PORTO