Dal 1961 al 1970

1965

Anche quest’anno, in occasione di lavori edilizi in corso nella zona orientale della città, la inesauribile necropoli tarentina ha restituito alla luce un numero notevole di sepolture, molte purtroppo già violate, depredate o distrutte in epoche più o meno remote, ma alcune ancora integre e talvolta ricche di suppellettile. Fra i vari quartieri della città — che, pur essendo ormai da tempo entrati a far parte dell’agglomerato urbano, si continuano a indicare, in gergo archeologico, col nome delle vecchie contrade, divenute celebri per i cospicui rinvenimenti del secolo scorso — i più ricchi per numero e interesse di ritrovamenti si sono rivelati, in quest’ultimo periodo, quelli corrispondenti alle contrade Corti vecchie e Vaccarella. Nella prima, ma già quasi al confine con la seconda, in un’area in cui già in passato erano venute alla luce numerose tombe di varia epoca, i lavori di sbancamento per la costruzione del nuovo ospedale civile hanno permesso di individuare e di esplorare un ulteriore gruppo à: sepolture databili dalla metà del VII alla fine del VI sec. a.C.: particolarmente notevoli una tomba con materiale protocorinzio tardo, riferibile appunto alla metà del VII secolo a. C., un’altra con una lekythos samia associata a materiale locale, della fine del VII sec. a.C., un’altra ancora con vasi del corinzio medio e tardo, databile verso la metà del VI sec. a.C. e infine una tomba con corredo di: ceramica attica a figure nere assai abbondante — come lo sono spesso, nella necropoli tarentina, i corredi di questo periodo —, che può essere datata nella seconda metà del VI sec. a.C.; all’esterno di questa stessa tomba, e chiaramente ad essa pertinenti, sono stati rinvenuti numerosissimi frammenti di vasi attici coevi, soprattutto kylikes a piede basso (che una paziente opera di restauro ha permesso di ricomporre quasi completamente), insieme a un thymiaterion e a un modellino di kline, di fabbricazione locale (tav. XX, 1).

Nella stessa zona sono stati raccolti, sparsi nel terreno, frammenti di matrici fittili, il che lascerebbe supporre la presenza, nei dintorni, di qualche antica officina di figuli.

La contigua contrada Vaccarella è stata invece caratterizzata dal rinvenimento di un grosso scarico di ceramica del IV sec. a.C., costituito da numerosi frammenti di vasi — per lo più di grosse dimensioni — apuli o di Gnathia.

Rinvenimenti del genere non sono rari nell’ambito della necropoli di Taranto e particolarmente nell’area della contrada Vaccarella. Non sembra però che, nel nostro caso — ed anche in altri in cui ricorrono le stesse caratteristiche — si tratti di uno scarico di officina ceramica, data la grande varietà del materiale e l’assenza di esemplari con difetti di cottura o altre anomalie, caratteristici degli scarichi di tale tipo; anzi, un frammento di vaso mostra chiare tracce di un antico restauro, e quindi non può provenire da una fabbrica. È da rilevare, infine, che negli immediati dintorni non sono stati rinvenuti resti di officine né di altri edifici di alcun genere, bensì soltanto tombe di vario tipo ed epoca, e tracce di naiskoi.

Quale poteva essere, dunque, la natura di questo genere di scarichi?

Dalle considerazioni ora esposte e dalle osservazioni che la solerzia dell’assistente Campi ha permesso di acquisire in trent’anni di attento lavoro nella necropoli tarentina ci è sembrato di poter dedurre che detti scarichi si riferiscono a materiale funerario, ma non proveniente dall’interno delle tombe, bensì originariamente conservato nei naiskoi o destinato a ornare l’esterno delle sepolture, secondo un uso documentato, ad esempio; dalle rappresentazioni di offerte ai defunti ricorrenti spesso sui vasi apuli. Ciò spiegherebbe, fra l’altro, la frequenza, negli scarichi in questione, di vasi di grosse dimensioni, presenti nelle rappresentazioni vascolari citate, ma non all’interno delle tombe coeve. Evidentemente, a mano a mano che i naiskoi e le altre sistemazioni funerarie esterne venivano trasformati o distrutti, il materiale ceramico in essi contenuto veniva eliminato, mentre rimanevano ovviamente intatte le tombe coi relativi corredi.

Fra le varie centinaia di frammenti raccolti nello scarico della contrada Vaccarella — e ancora in corso di ripulitura per il restauro e la classificazione — ne sono stati individuati almeno cinque, pertinenti ad altrettanti coperchi di lekanai o di pissidi, che presentano in larghe e chiare lettere di color bruno l’iscrizione ΛΥΚΩΝΟΣ o soltanto ΛΥ (tav. XX,2).

Nella categoria dei ἐκπόματα, per lo meno fra gli esemplari rinvenuti a Taranto, non mi risulta che ricorra mai un simile nome, la cui interpretazione resterebbe assai incerta se non ci soccorresse il raffronto con una moneta in bronzo di Crotone. Tale moneta appartiene a una serie di emissioni datate genericamente al IV sec. a.C. e presenta al diritto una testa di Herakles coperta da leonté e al rovescio il tipo dell’aquila in atto di divorare un serpente; nel diritto, accanto alla testa di Herakles, si legge chiaramente l’iscrizione ΛΥΚΩΝ. La presenza, nella monetazione enea della città, di altri tipi ispirati a culti locali ha fatto supporre che anche Λύκων sia da considerare un epiteto locale di Herakles. È noto che questo eroe era venerato a Crotone come mitico fondatore della città, e la sua immagine infatti ricorre su alcune emissioni monetali, accompagnata dalla leggenda οἰκιστάς; Λύκων invece è ricordato dalla tradizione (Apollod. II, 10,5) come uno dei figli di Ippocoonte uccisi da Herakles. L’epiteto — è stato supposto — potrebbe essere stato foggiato per commemorare tale episodio e richiamerebbe, in tal caso, la saga dell’eroe in Sparta, dove egli, dopo l’uccisione, avrebbe fondato un santuario dedicato ad Athena Axiopoinos.

Il rinvenimento nella spartana Taranto, e per di più nell’area della necropoli, di vasi con l’iscrizione ΛΥΚΩΝΟΣ mi pare costituisca un elemento nuovo, e assai interessante, per la storia del culto di Herakles. Si tenga infatti presente che quest’eroe si afferma in Taranto, fino a soppiantare Poseidon come divinità poliade, alla fine del IV sec. a.C., in relazione, probabilmente, all’arrivo dell’Eraclide Cleonimo e all’alleanza Taranto-Sparta. D’altra parte, relazioni tra Taranto e Crotone, almeno tramite la colonia tarantina di Eraclea, si vanno rivelando, nel corso dello stesso secolo, più consistenti di quanto non apparisse finora. Si tratta, evidentemente, di una serie di problemi che il rinvenimento in questione propone, più che risolvere, ma è proprio per questo che, in questa sede, ho voluto darne immediata e pubblica notizia.

ATTILIO STAZIO