Dal 1961 al 1970

1970

A Taranto, come si è detto, la ricerca archeologica di quest’anno si è principalmente orientata verso la soluzione dei molti quesiti su cui s’imposta lo studio della topografia della città antica. A tal fine vaste campagne di scavo sono state programmate e sono già in corso nella zona orientale della città nuova, dove oltre alla cinta muraria del V secolo e al suo fossato esterno comincia chiaramente a delinearsi la presenza di porte, torri di difesa e strade di accesso, che mentre confermano le testimonianze incontrovertibili delle fonti comprovano la validità della struttura urbanistica di Taranto antica, come noi l’abbiamo idealmente ricostruita.

Fra le ricognizioni che si sono fatte inoltre nella zona della vastissima necropoli, anche in relazione al nostro compito di tutela e di conservazione, degna di nota è la scoperta già nel gennaio del 1968 presso il nuovo Ospedale Civile SS. Annunziata, in via Minniti, delle fondazioni ricavate dalla roccia di un interessante sacello arcaico del tipo probabilmente in antis (tav. CIV, 1), nei cui paraggi è stata individuata una favissa comprendente ceramica laconica e attica a figure nere nonché statuette fittili del culto di Persephone Kore, databili alla seconda metà del VI secolo a.C. (tav. CIV, 2) e rappresentanti la dea stante, seduta e a mezzo busto, vestita di peplos dorico o chiton ionico. spesso con l’himation dal fine panneggio, pastiglie ornamentali alle spalle, il polos sul capo ed altri attributi peculiari delle divinità chtonie, quali rileviamo in altri ex-voto analoghi di Taranto e Satyrion. La presenza di questo sacello nell’area della necropoli conferma quanto da noi già sostenuto circa l’esistenza di tali edifici sacri sorgenti nella città dei morti e destinati al culto delle divinità d’oltretomba.

La necropoli tarantina continua a fornirci nuovi interessanti reperti, in gran parte databili al IV e al III secolo e provenienti da tombe a fossa scavata nella roccia o rivestita di lastroni, da ipogei e da bothroi, dove comunemente si raccoglievano le offerte funebri. Dal gennaio al settembre del 1970 tali scoperte sono state fatte nelle contrade Corvisea, Carmine, Pizzone, in via Polibio e al Rione Italia.

Eccezionale il ritrovamento al Pizzone, nel corso dei lavori per l’apertura della nuova strada che con un ponte raggiungerà Punta della Penna, di una ricca tomba, in cui accanto ad altri vasi di produzione tarentina del secondo venticinquennio del IV secolo a.C. figurano due splendide oinochoai ornate di scene desunte dal mito. Una raffigura Atteone assalito e dilaniato dai suoi stessi cani (tav. CV, 1, 2) che la dea Artemis, seduta su di una pantera, aizza contro di lui in presenza di Apollo sdraiato sopra un. cigno. e di un Satiro che accorre alla scena, conferendole significato teatrale e riportandoci quindi a due drammi di Eschilo e di Euripide. L’altra, ispirandosi alle Eumenidi di Eschilo e sintetizzandone il mito, rappresenta Oreste perseguitato dalle Erinni, che lo accusano di aver ucciso la madre, e mentre trova protezione a Delfi in Apollo, raffigurato in alto con un ramo di lauro (tav. CVI, 1,2). Domina la scena movimentata Atena seduta sul grifo e circonfusa nell’aureola, la quale — come è noto — dopo molti riti di espiazione a cui Oreste si sottopone assume le difese dell’eroe e lo assolve.

I due vasi sono opera di uno stesso ceramografo tarantino, che va riconosciuto nel «Pittore di Licurgo» a cui si attribuiscono numerosi vasi del genere monumentale, anch’essi caratterizzati dalla vivacità delle scene mitologiche rappresentate e da un certo preziosismo pittorico che si estrinseca nel largo impiego del bianco per i particolari.

FELICE GINO LO PORTO