Dal 1961 al 1970

1967

Il tema del Convegno di quest’anno, nel quale la documentazione archeologica riveste un ruolo di primaria importanza, mi induce, prima di presentare la consueta rassegna dell’attività svolta dalla Sovrintendenza alle Antichità nella regione pugliese, a richiamare l’attenzione su una serie di elementi, utili — a mio parere — a chiarire il problema del rapporto tra la città di Taranto e il territorio circostante, nonché a delimitare, per quanto

possibile, detto territorio.

Il primo aspetto da considerare è quello del rapporto tra l’abitato e la necropoli ad esso relativa. A questo proposito la fonte più esplicita è il passo, notissimo, di Polibio (VIII, 28), che nel narrare le vicende della conquista di Taranto da parte di Annibale, riferisce che i congiurati, per uscire dalla città, attraversarono “la parte abitata e si diressero verso le tombe”; e precisa che tutta la parte orientale della città di Taranto era priva

di sepolture, perché i morti ancora al suo tempo erano seppelliti entro la cerchia muraria, in ottemperanza a un antico oracolo che aveva imposto ai Tarantini di vivere “insieme ai più”: ὦν διατεταγμένων οἰ μὲν νεανίσκοι

διαπορευθέντες τὸν οἱκούμενον τόπον τῆς πόλεως, ἦκον ἐπὶ τοὺς τάφους. τὸ γὰρ πρὸς ἔω μέρος τῆς τῶν Ταραντίνων πόλεως μνημάτων ἐστι πλῆρες διά τὸ τοὺς τελευτήσαντας ἔτι καὶ νῦν θάπτεσθαι παρ’ αὐτοῖς πάντας ἐντὸς τῶν τειχῶν κατά τι λόγιον ἀρχαῖον. φασὶ γὰρ χρῆσαι τὸν θεὸν τοῖς Ταραντίνοις ἄμεινον καὶ λᾧον

ἔσεσθαί σφισι ποιουμένοις τῆν οἴκησιν μετὰ τῶν πλειόνων.

Indipendentemente dalla spiegazione addotta, di una prescrizione d’oracolo, ovviamente ex eventu, è assai chiaro il fatto — che per la sua anomalia aveva attratto l’attenzione di Polibio avvezzo all’uso greco e, ancor più, romano (cfr. lex XII tabularum) di seppellire i morti fuori della città — che la necropoli tarentina si estendeva entro la città muraria. Ma è altrettanto chiaro, e occorre non dimenticarlo, che l’area cemeteriale, pur essendo all’interno di detta cinta, era distinta da quella abitata (διαπορευθέντες τὸν οἰκούμενον τόπον ἦκον ἐπὶ τοὺς τάφους).

Un controllo archeologico della topografia dell’antica Taranto e della sua necropoli, nelle varie fasi del loro sviluppo, non è oggi facile data la quasi assoluta inconsistenza dei rinvenimenti relativi all’abitato e la occasionalità degli interventi nella necropoli, dovuti tutti alla contingenza di scoperte fortuite più che a un organico programma di ricerche. Qualcosa di più si potrà conoscere quando sarà ultimata la grande carta archeologica di Taranto di cui la Soprintendenza, col contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ha iniziato la preparazione. Tuttavia, le notizie note, anche se non ancora puntualmente accertate — e alcune purtroppo non sono più accertabili — consentono di fornire qualche utile indicazione per il nostro problema.

Sembra anzitutto di poter affermare che nella città di Taranto non si notano segni evidenti di convivenza tra tombe e abitazioni coeve. Nell’area che si presume sia stata quella del più antico centro abitato, cioè nell’attuale

città vecchia, non vi è alcuna notizia di rinvenimenti di tombe; sepolture di età arcaica (VII-VI sec. a.C.) sono

invece documentate ad ovest di detta area, raggruppate presso il cavalcavia della ferrovia, lungo la strada per Bari, a ad est, sparse qua e là o riunite in piccoli nuclei nell’area dell’attuale città nuova. Questi minuscoli gruppi di tombe, per la loro disordinata distribuzione sembrano riferirsi a fattorie o a piccoli insediamenti agricoli, che ovviamente dovevano estendersi in gran numero nella zona coltivabile al di fuori dell’acropoli, corrispondente alla attuale città vecchia: tali insediamenti in taluni casi si sovrapposero, distruggendole, a sepolture pregreche, come a piazza del Carmine o al famoso pozzo D’Eredità che portò alla scoperta della ceramica c.d. di Borgonuovo. Più tardi la necropoli, nel suo graduale ampliarsi, comincia a configurarsi in maniera più ordinata e regolare, nella zona dell’attuale città nuova, ma si sposta progressivamente più a est, finché in età ellenistica, un gruppo di sepolture appare allineato sino ai margini dell’attuale via per Brindisi, mentre in età romana si notano principalmente due grandi aree cemeteriali, addensate l’una a nord presso il mar piccolo nella contrada S. Lucia, nella zona dell’attuale arsenale militare, a l’altra a sud, presso il mar grande, nella zona del nuovo ospedale civile.

Si ha quindi l’impressione che la città nel suo sviluppo, costretta a uscire dal ristretto ambito dell’acropoli, abbia invaso gradualmente l’area orientale, respingendo la necropoli sempre più a est (in età greca) o concentrandola in zone circoscritte ai margini settentrionale e meridionale dell’abitato (in età romana). Questo sviluppo dell’abitato, che la situazione geografica condizionava necessariamente in quell’unica direzione, costrinse a invadere l’area della più antica necropoli, sovrapponendo le abitazioni alle tombe preesistenti o distruggendo queste ultime: durante gli scavi condotti nella città nuova, infatti, sono stati spesso rinvenuti pozzi con materiale di scarico greco di varia epoca e di evidente provenienza sepolcrale, e in alcuni casi sono state notate tracce di costruzioni ellenistiche o romane sopra tombe di età precedente.

I dati archeologici, quindi, mostrano con sufficiente chiarezza — e il passo di Polibio è sostanzialmente concorde con tali dati — che a Taranto non vi era commistione di abitazioni e di tombe coeve. L’unica anomalia, se pur di anomalia si può parlare, consiste nel fatto che ambedue i settori, abitato e necropoli, si estendevano nell’ambito delle mura (che però, è bene ricordarlo, non sembrano anteriori al IV sec. a.C.). Questo fatto, se poteva meravigliare Polibio, non meraviglia noi che abbiamo ormai acquisito il concetto della cinta muraria come baluardo difensivo, condizionata pertanto dalla situazione del terreno e dalle esigenze militari, e non come limite — starei per dire pomeriale — dell’abitato.

In conclusione a Taranto — e ci riferiamo soprattutto alla Taranto ellenistica e romana — esistevano tre zone ben differenziate: l’acropoli, che fu anche il più antico centro abitato, corrispondente all’attuale città vecchia, sulla penisola tra il “mar piccolo” e il “mar grande” (il canale navigabile fu scavato soltanto in età aragonese); a oriente la città, che ampliandosi a poco a poco si estese fino all’altezza dell’attuale via Leonida ; ancora più a oriente la necropoli, che giungeva fino alle mura.

Al di là delle mura si estendeva una larga zona paludosa, che solo pochi decenni or sono è stata bonificata e recuperata per l’espansione edilizia della città, e che ha conservato nei nomi di “Salina piccola”, o “Salinella”, a ridosso delle mura, e “Salina grande”, più a est, il ricordo della sua antica condizione. Tale zona, inadatta a qualsiasi tipo di coltura e di insediamento, è infatti archeologicamente sterile e soltanto ai suoi margini, settentrionale e meridionale, correvano — come del resto ancor oggi — le uniche due vie che, uscendo da Taranto, collegavano la città con la zona orientale: a nord la via interna per S. Giorgio Ionico, Carosino, Oria, e Brindisi (la futura via Appia), ai margini della quale, nel suo primo tratto, era un gruppo di tombe della necropoli ellenistica; a sud, la via per Capo S. Vito e per Leporano, Pulsano, ecc., che raggiungeva i centri della costa ionica sud-orientale.

Queste strade, con le loro successive ramificazioni, e le altre che partendo dalla zona dell’attuale stazione ferroviaria al di là del braccio di mare che separava l’acropoli dalla terraferma, si diramavano verso le aree settentrionale e occidentale, collegavano la città con una serie di piccoli e grandi insediamenti, documentati sinora soltanto dalle numerose e talvolta assai ricche necropoli ad essi relative. Definire, però, quali di questi

insediamenti facessero parte della χώρα tarantina e quali invece appartenessero all’elemento indigeno è impresa complessa e ardua. Un criterio di discriminazione potrebbe essere quello della maggiore o minore analogia tra il materiale delle varie necropoli e quello, ben noto e caratterizzato, della necropoli di Taranto.

L’applicazione di un tale criterio, tuttavia, presupporrebbe una conoscenza ampia, precisa e puntuale dei singoli corredi tombali, quale solo un attento scavo sistematico può fornire. Purtroppo, salvo casi sporadici, le necropoli in questione non sono state oggetto di esplorazioni regolari, e anzi molte di esse sono state, in tempi più o meno remoti, depredate e distrutte in maniera quasi totale dagli scavatori clandestini. Le notizie che siamo oggi in grado di presentare, derivano quindi da informazioni confidenziali, per la loro stessa natura non controllabili, sulla provenienza di esemplari confluiti in collezioni pubbliche o private, da materiali sporadicamente e fortunosamente recuperati e privi perciò di qualsiasi dato di rinvenimento e di associazione, e solo in piccola parte dall’analisi di corredi integri provenienti da scavi regolari, ma per lo più occasionali e limitati. Sulla base di tali elementi, e pur con le cautelose riserve che impone la situazione ora esposta, abbiamo indicato, su una carta della zona, le necropoli individuate, cercando di differenziare quelle con materiale greco, da quelle in cui appare prevalente il materiale indigeno (tav. XI).

Una esemplificazione del materiale proveniente da queste necropoli è stata inoltre esposta in una piccola mostra, allestita nel nostro museo in occasione del Convegno, grazie soprattutto alla sensibile comprensione di alcuni privati collezionisti, che hanno consentito di integrare il materiale della Soprintendenza di Taranto con gli oggetti di loro proprietà (tavv. XII-XVIII).

Al primo gruppo, caratterizzato dalla presenza di ceramica protocorinzia, corinzia e attica a figure nere, appartengono i rinvenimenti, sulla fascia costiera orientale, di Capo S. Vito (frammenti di materiale attico individuato fra i resti di un sepolcreto, probabilmente del V sec. a.C., manomesso e distrutto), Lama (frammenti di ceramica corinzia rinvenuti sporadicamente durante lavori agricoli), Leporano (contrada Saturo, masserie Amendulo e Ricci, località S. Marco e Logovivo), Pulsano (masseria Calapricello e località Monte Parasco); verso l’interno inoltre, sulle prime pendici delle Murge tarantine, una situazione analoga si rileva a Lizzano (località Torretta, da dove proviene gran parte del materiale oggi conservato in una collezione privata), Faggiano, Roccaforzata, S. Giorgio Jonico (vasta necropoli greco-arcaica, oggi completamente saccheggiata dai clandestini, in località Belvedere); più a Nord, sulle modeste alture, prospicienti il seno orientale del mar piccolo, presso la stazione ferroviaria di Monteiasi, una necropoli greca probabilmente del V sec. a.C. fu rinvenuta completamente sconvolta all’inizio del secolo; nella zona a nord-ovest di Taranto, limitati gruppi di sepolture, con materiale greco a partire dal protocorinzio, ma anche con ceramica tipo Borgonuovo, sono state individuate nella zona costiera pianeggiante presso il fiume Tara (località Bellavista, Ausonio, La Croce, ecc.) mentre più vaste necropoli, anch’esse purtroppo devastate dall’azione inconsulta degli scavatori clandestini, sono segnalate nella zona collinare tra Statte e Massafra (località Gravinola, Amastuola, Accetta grande, Accetta piccola, Leucaspide) oltre che a Statte e a Crispano.

ATTILIO STAZIO