Dal 1981 al 1990

1981

Gli interventi effettuati, quest’anno, a Taranto hanno avuto tutti carattere di urgenza, derivando da lavori edili o da lavori di scavo nelle vie cittadine per la posa di tubature o condutture elettriche. Essi sono stati diretti dalla dott. L. Costamagna, coadiuvata dai dott. T. Schojer ed E. Lippolis.

In via Viola, a gennaio, lo scavo per le fondazioni della scuola elementare causò la parziale distruzione di una cisterna avente forma «a campana».

Nello strato di sabbia che costituisce il fondo sterile della cisterna si rinvenne una lucerna «in pasta grigia» evidentemente utilizzata durante la costruzione e quindi abbandonata. Fra i reperti vascolari recuperati nel fondo sono interessanti una patera in pasta grigia ed una coppa di ceramica «Campana C», tutti databili al I secolo a.C.

Fra i numerosi interventi nelle vie della città merita di essere menzionato quello effettuato nel mese di giugno in via Regina Elena.

Vi è stata individuata una piccola stipe votiva di forma ovale (diametro maggiore: m. 1,50, profondità: m l circa), costituita da una fossa accuratamente sigillata con frammenti di tegole e con argilla vergine. Si è trovato sia materiale coroplastica, sia ceramico; in entrambi i casi sono stati notati fratture e fori nel fondo, praticati intenzionalmente. Fra la coroplastica, ancora in corso di restauro, è frequente la figura di Artemis Bendis, con un cerbiatto al fianco ed uno sorretto con il braccio (Tav. XLVII,l); oppure, diversamente, nell’atto di tenere con una mano un’oinochoe e con l’altra un cesto di frutta (Tav. XL VI1,2).

Talvolta si rileva un ottimo stato di conservazione dei colori, come nella figura di Demetra con face e cesto di frutta sul braccio (Tav. XLVII,3), in cui sono evidenti alcuni particolari, resi con il solo ausilio del colore: la collana a globuli azzurri, i diversi tipi di frutti nel cesto. Frequente è anche il tipo di Demetra con face e maialino in braccio (Tav. XLVII,4). Numerosi sono i frammenti di pinakes relativi al culto dei Dioscuri (Tav. XLVIII,l), rappresentati nei modi consueti: dentro l’edicola, affiancati da kantharoi, recumbenti, oppure a cavallo, anche in bassorilievi lavorati «a giorno».

Benché infrequente nella coroplastica tarantina, è qui presentela sequenza delle ninfe sedute, con la parte inferiore resa con il solo colore, nell’atto di tenere in mano oggetti diversi (Tav. XLVIII,2). Notevole è ancora la testa femminile, probabilmente Afrodite, con erote alato al fianco, inserita in un disco con fori per la sospensione. Si segnalano ancora altri tipi quali la Sfinge e frammenti relativi al gruppo del recumbente. Nella stessa stipe si sono rinvenute anche interessanti matrici, tra cui una, molto grande, relativa ad una figura di Artemis Bendis, siglata sul retro con un’iscrizione, di cui restano solo tre lettere (φιλ).

Completato lo scavo della stipe è venuta in luce al di sotto, ma non in relazione ad essa, una tomba a sarcofago con copertura a doppio spiovente. Il corredo, costituito da un’oinochoe a figure rosse e da una tazza a vernice nera è inquadrabile nel terzo venticinquennio del IV secolo a.C.

Il lavoro, però, che quest’anno, a Taranto, ha richiesto il maggior impegno finanziario e che si è protratto più a lungo è stato lo scavo di una vasta area tra via Generale Messina e Via Cesare Battisti, nel sito dell’ex Arena Italia. In un cantiere edile, in cui erano in corso massicci lavori di sbancamento, è stato operato il fermo per uno scavo sistematico dell’area utilizzata variamente, già dal periodo classico.

Sono state, infatti, recuperate 31 tombe, raggruppabili in due momenti cronologici ben distinti. Un primo gruppo di tombe, a sarcofago o a fossa scavata nel banco tufaceo con copertura di lastroni di carparo, risale al IV e III secolo a.C. A questo gruppo si riferiscono il corredo della tomba n. 3 e quello della tomba n. 29, contenente un interessante tipo di kantharos con scialbatura di fondo e tracce di scena figurata dipinta. L’area viene nuovamente utilizzata a distanza di circa un secolo, cioè dalla seconda metà del II secolo a.C. alla fine del I. Si tratta di cremazioni in urne cinerarie acrome o in piccoli sarcofagi monolitici intonacati e di sepolture infantili in tombe a cista fittile; uso importato dai nuovi coloni romani.

I corredi comprendono generalmente lagynoi e balsamari; questi ultimi anche in vetro. La più cospicua fra le tombe di questo secondo gruppo è la n. 20, anch’essa a cremazione che si distingue non solo per la ricchezza del corredo ma anche per una monumentalità del sepolcro; invero un adattamento a camera funeraria di una struttura preesistente. Il corredo (Tav. XLVIII,3) comprende lagynoi, vasi a pareti sottili, tre grandi bacili con decorazione «a fasce», due amphoriskoi di alabastro, di fattura estremamente accurata, uno specchio, la cui lamina è stata tagliata intenzionalmente al momento della deposizione, una pisside di bronzo, un gruppo di tre strigili, inseriti in un bracciale, che hanno il manico decorato da bolli ed infine un anello aureo con corniola incastonata. Quest’ultima reca incisa un’insolita rappresentazione: una testa di elefante vista di profilo, con la proboscide alzata a stringere l’attrezzo uncinato, utilizzato per addomesticare gli elefanti (Tav. XLVIII,4).

Se si considera l’area prescindendo dalla sua utilizzazione come necropoli si presenta una serie di elementi di incerta interpretazione.

Il grande basamento centrale, riutilizzato per la tomba prima descritta, di forma quadrangolare, era formato da un doppio filare di blocchi poggianti sul banco tufaceo, con un avancorpo verso N, da cui si dipartiva uno stretto canale scavato nel tufo. Altri canali erano in relazione con la struttura, intorno alla quale c’erano quattro pozzi, due di forma circolare e due quadrangolari. Attualmente è anche incerta la collocazione cronologica di tali opere, tuttavia un primo esame dell’abbondante materiale ceramico e coroplastico ritrovato nei pozzi, consente di stabilire che essi vennero colmati nel corso del III sec. a.C., cioè fra le due fasi di utilizzazione dell’area come necropoli.

Sempre nel corso del III secolo l’area è stata fatta oggetto di scarichi di materiale votivo, databile dal V al III secolo a.C. Tra gli elementi architettonici si segnalano frammenti di antefisse a testa di gorgone, un frammento di sima a fiore di loto e un bel gocciolatoio a testa leonina (Tav. XLIX,l-2). Fra la ceramica è abbondante la produzione a pula a figure rosse e quella dello stile «di Gnathia», che segna il limite cronologico inferiore.

Nel settore NE dello scavo si è rinvenuto un muro tardo, con molti elementi di reimpiego, fra cui uno di quei piccoli sarcofagi di carparo stuccati della necropoli romana. N e i pressi di questo muro si è rinvenuto un grande cratere apulo molto frammentario e lacunoso. Si può ricostruire la scena del lato A: agguato di Achille a Troilo, presso la fonte, sotto lo sguardo protettivo di Athena (Tav. XLIX,3).

Molto interessante è la raffigurazione della fonte, con tre figure «xoaniche» femminili, probabilmente tre ninfe e in alto, sulla roccia da cui sgorga l’acqua, la rappresentazione, quasi in un pinax, di un torello che si abbevera, a sua volta, ad una fonte (Tav. XLIX,4).

Per concludere sull’attività di scavo nella città di Taranto, si segnala il recentissimo rinvenimento in viale Virgilio, all’altezza di torre D’ Ayala, di due tombe «a semicamera», individuate durante i lavori per la posa delle condutture del gas. Le tombe, conservate solo nella parte ipogeica, presentano le pareti in blocchi di carparo, intonacati in bianco ed in rosso. Benché già depredate in antico, come proverebbe la presenza di una moneta dell’imperatore Caro, sono state recuperate in entrambe le tombe alcune «appliques» dorate e numerose forme ceramiche, trascurate dai depredatori. Fra la ceramica sono riconoscibili oinochoai e tazze a vernice nera, nonché unguentari del I Ellenismo.

ETTORE M. DE Juliis