Dal 1981 al 1990

1986

Nell’ambito della città di Taranto, gli interventi di scavo e di tutela si sono dovuti condurre, come di consueto, fuori da qualsiasi tentativo di programmazione, anche se da tempo si sta cercando di varare un progetto, al quale è interessato anche l’Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia, mirante all’approfondimento di alcuni problemi topografici, di fondamentale importanza per la comprensione dello sviluppo e dell’organizzazione spaziale del centro antico. Secondo una prassi ormai stabilitasi da anni, invece, la Soprintendenza è stata purtroppo costretta a seguire soltanto le indagini relative ai quasi quotidiani rinvenimenti fortuiti connessi con i lavori edili o con quelli di pubblica utilità.

Nell’ambito degli esigui ma interessanti rinvenimenti relativi all’impianto urbanistico dell’antica città, sono state individuate due sedi stradali. La prima, orientata in senso est-ovest, è stata tagliata trasversalmente da una trincea relativa ai lavori dell’ENEL in via Viola, proprio all’angolo S-E della scuola elementare XXV Luglio, e quindi ubicata soltanto in sezione sulle pareti della trincea, immediatamente al di sotto della massicciata moderna. Si tratta di un battuto molto spesso, di terra pressata e frammenti di tegole, impostato su uno strato di terreno argilloso. La sede stradale è larga m 5,10 ed è limitata da un cordolo di blocchi squadrati di carparo, per un’ampiezza massima di m 5,70. Con molta probabilità si tratta della strada medievale (e moderna) di Santa Lucia, tradizionalmente nota anche come «strada degli argentari», ben nota dalle fonti d’archivio, che ricalca e in alcuni tratti si sovrappone ad un tracciato più antico.

L’altra strada interessa invece l’estremo lembo orientale della città greco-romana; si sviluppa anch’essa in senso E-W e doveva probabilmente servire da collegamento fra la zona del cosiddetto quartiere portuale romano di Santa Lucia ed il Pizzone. Se ne è individuato un tratto di circa m 50, in sezione, sempre durante lavori connessi con l’ampliamento della rete elettrica urbana, nel settore più orientale di via Cugini. Un piccolo saggio ha consentito di verificarne le caratteristiche strutturali, che trovano riscontri precisi nella strada rinvenuta nel 1985 in uno stabile di via Diego Peluso; si tratta di un letto di piccole basole di carparo, ben allettate e sistemate l’una accanto all’altra, nei cui interstizi e sulla cui superficie s’imposta un battuto di terra.

In via Pupino, infine, si segnala il rinvenimento di un breve tratto di muratura romana con pietrame a secco, presso la quale sono stati raccolti frammenti di intonaco rosso e di terra sigillata chiara.

Per quanto riguarda la campagna di scavo nel cantiere compreso tra le vie Aristosseno, Tesoro, Livio Andronico e Rintone, parte dell’antico Fondo Tesoro noto per le tombe rinvenute alla fine del secolo scorso, essa fu iniziata nel 1983 6 e fu varie volte sospesa per indisponibilità di fondi, sino al suo compimento avvenuto solo tre mesi fa.

Vista l’enorme mole di informazioni e di materiali recuperati, a dispetto delle manomissioni moderne, nell’area adibita in un recente passato a deposito delle Ferrovie del Sud-Est, non è al momento possibile tracciare un quadro organico e puntuale delle situazioni emerse. L’importanza delle evidenze è però tale che si ritiene necessario farvi cenno in questa sede, per aggiungere nuovi dati a quelli già presentati nel Convegno del 1984.

Nella fascia occidentale del cantiere, il banco tufaceo appare interessato da una serie di pozzi e cisterne, di cui se ne sono scavati rispettivamente quattro e sei; alcune cisterne sono di forma rettangolare, in un caso comunicanti onde consentire un livello costante dell’acqua, spesso con vere in muratura accuratamente costruite; gli uni e le altre hanno restituito in genere materiale ceramico databile al IV e III sec. a.C. Sono presenti, inoltre, resti di una tubazione in argilla, fossette forse di decantazione, un grosso pithos in situ e quattro fosse di scarico (5, 6, 7, 8), due colme di ceramica arcaica (corinzia, coppe ioniche, un frammento protocorinzio) e due con materiali ancora di IV-III secolo.

A nord di questa fascia si segnala una vasta area coperta da un deposito cineroso ricco di scorie di ferro, derivato probabilmente dall’esistenza nelle vicinanze di un forno siderurgico; attività cui si ricollegano anche le numerose bocche di mantice rinvenute nei pozzi e nelle cisterne.

Il banco tufaceo di cui si è detto rivela ad est una delimitazione molto netta, costituita da un taglio regolare con orientamento NS, oltre il quale s’impianta una serie di strutture abitative poggiate su un consistente riempimento, che ha dato notevoli tracce di frequentazione sin da epoca arcaica.

Di un vasto ambiente, già individuato a nord nel 1983, nella recente campagna di scavo si è approfondita l’indagine: nella sua parte meridionale erano ricavate tre cisterne, separate dal resto del vano mediante un setto trasversale, dalle quali si è recuperato abbondante materiale riferibile alla seconda metà del IV sec. a.C.

Nella zona centrale del cantiere, sul piano pavimentale del vano A, costituito da terra battuta, si apriva una fossetta probabilmente votiva, rivestita di argilla cruda e contenente una coppetta, una lucerna, un peso da telaio, un vasetto votivo, un krateriskos ed il fondo di uno skyphos ancora della fine del V sec. a.C. Allo stesso livello era ancora in situ un fornello, delimitato da un cordolo di tufina e con il piano di cottura circondato da terreno cineroso. Al di sotto del pavimento si sono individuate due fosse di scarico (II, III) a quote diverse, con materiali databili al V sec. a.C., mentre sulla roccia vi è presenza di ceramica corinzia.

L’esplorazione dell’attiguo vano C, cui si appoggia il successivo ambiente A, ha rivelato una situazione analoga, cioè un’intensa frequentazione che ne precede l’impianto, documentata, sotto il livello pavimentale, da quattro fosse di scarico (IV, V, VIII, IX) attribuibili al VI ed al V sec. a.C. e da una canaletta formata da coppi. A sud del vano C, e ad esso addossato, si trova un piccolo ambiente dalle strutture murarie più leggere, sotto il quale sono apparse tre altre fosse di scarico (1, VI, VII) le quali, come sempre, restituiscono in grande quantità ceramica acroma e da fuoco, frammenti di grossi contenitori e resti carboniosi. Identica situazione si riscontra nel vano D, che ha il lato ovest appoggiato al taglio del banco tufaceo: al di sotto di esso le fosse di scarico (X, XI, XV) sono attribuibili a frequentazione del VI e V sec. a.C., mentre sul fondo roccioso la cisterna 26 appare colma di materiali della prima metà del VII secolo.

Nell’angolo NW del vano E, addossato anch’esso al banco tufaceo e bipartito da un setto trasversale, si è messo in luce un deposito di centocinque vasetti votivi. Nel riempimento sottostante, la presenza, fra l’altro, di coroplastica arcaica, di una testina dedalica e di frammenti di ceramica attica a figure nere documenta una frequentazione precedente.

Nell’area centrale delimitata sui lati nord e ovest dagli ambienti A, C, D, E, in origine almeno in parte scoperta, si è potuto accertare un intervento di sistemazione con uno spesso strato di tufina compattata, che ha sigillato materiali della seconda metà del V sec. a.C. Al di sopra era presente il crollo degli ambienti circostanti, il cui impianto è da riferire perciò agli inizi del IV, se non proprio alla fine del V secolo.

Procedendo verso sud, ha termine il taglio del banco tufaceo, che si presenta ora alla stessa quota rilevabile nella fascia orientale dell’area. Qui, data la minore consistenza del deposito archeologico, si sono avuti i maggiori disturbi di epoca moderna; i pochi setti murari venuti alla luce, comunque, permettono di intuire una rarefazione delle strutture abitative.

Si possono essenzialmente individuare solo tre ambienti fra di loro distanziati, dei quali si conservano solo pochi brandelli di muri. In prossimità dei setti 31 e 32 si rinviene ceramica del VI sec. a.C., mentre nell’area del vano delimitato dai setti 37 e 38 è emerso un ammasso di terrecotte relative al culto dei Dioscuri e di Demetra, con numerose statuette arcaiche raffiguranti la divinità seduta in trono.

Sono queste, forse, le sole strutture arcaiche sopravvissute alla frequentazione successiva, quale è testimoniata dai materiali recuperati nei pozzi e nelle cisterne che abbondano in questa parte dell’area. Alcune di tali strutture, cadute in disuso, furono utilizzate per liberare il terreno dai materiali che lo ingombravano: il pozzo 35 è risultato infatti ricolmo solo di tegole; la cisterna 29, invece, fu riempita solo in parte e l’imboccatura venne poi sigillata con due lastre pertinenti alla copertura di una tomba.

I pozzi (22, 23, 27, 34) raggiungono la falda acquifera anche a m 5 quasi di profondità; la ceramica rinvenuta nei riempimenti appartiene a fasi che vanno dalla prima metà del IV fino al II sec. a.C. Si segnala inoltre la cisterna 33, con riempimento relativo alla seconda metà del IV, sul cui fondo, disposti su di un letto di tegole, si sono ritrovati oltre venti vasi integri, e lo stesso pozzo 36, cronologicamente affine, che ha restituito un’ingente quantità di vasi, anch’essi interi, da ritenersi impiegati per la decantazione dell’acqua 8.

Non va infine sottaciuto come, sempre nella parte meridionale del cantiere, si siano messe in luce tre tombe: due erano già violate (una a semicamera), mentre in una terza si è potuto recuperare il corredo, della seconda metà del IV sec. a.C.

Attraverso vari ulteriori tasselli, si sta cercando di ricomporre in questi ultimi anni l’assetto topografico e storico della necropoli tarantina, soprattutto in relazione alla fase ellenistica.

Tra i rinvenimenti relativi al periodo arcaico vanno segnalate due sepolture a fossa in corso Italia, in prossimità dell’incrocio con via Argentina, area in cui, negli anni ’50, era stata già indagata un’ampia fascia sepolcrale riferibile a fasi cronologiche diverse. In entrambe le tombe è documentata la presenza di ceramica paleocorinzia; nella tomba 2 di coppe ioniche di tipo Bl.

Sempre fra i rinvenimenti del VI sec. a.C. vanno inquadrati quattro sarcofagi di carparo messi in luce in via Viola, uno dei quali ha restituito 78 scarabei in «pietra talcosa» 10 di tipo egittizzante, con geroglifici e crittogrammi incisi. Questo rinvenimento, insieme con altri due effettuati rispettivamente nel 1918 (area di Villa Pepe) e nel 1961 (area della domus di via Nitti 31), acquista particolare importanza in quanto sembra essere riferibile alla produzione della colonia greca di Naukratis, dove maestranze non egiziane, interpretando il patrimonio figurativo e scrittorio locale, finivano per realizzare prodotti, come questi scarabei, in cui le iconografie e i caratteri geroglifici originali sono fraintesi, rispondendo ormai soltanto ad esigenze commerciali legate alla clientela straniera. Fra gli scarabei, simili per fattura (dorso costantemente caratterizzato da una linea orizzontale o concava di separazione fra prototorace ed elitre, separate a loro volta da una linea verticale), se ne distingue uno anch’esso in «pietra talcosa» azzurra.

Dopo quest’ultimo rinvenimento, Taranto viene a caratterizzarsi come quello fra i centri greci che ha restituito la più ampia documentazione di scarabei egittizzanti (11 nel 1918, 158 nel 1961, 78 nel 1986), la cui documentazione si concentrava finora in aree legate al commercio fenicio (Sardegna), tanto da determinare per lungo tempo l’attribuzione di tali prodotti a centri fenici.

Durante i lavori per la realizzazione della rete fognante in via Alto Adige, è stato possibile seguire per circa 500 metri la trincea relativa alla condotta, mettendo in luce oltre 50 tombe; se a queste si aggiungono le sepolture individuate nel 1975 sulla stessa sede stradale alle spalle della Bestat, il numero cresce notevolmente.

Le tombe si concentrano, a distanza variabile e discontinua, in nuclei omogenei inquadrabili fra i primi decenni del IV ed il III sec. a.C., o fra il III e il II secolo. Si discosta cronologicamente solo la tomba 24, un sarcofago di carparo inserito in una presunta canalizzazione più antica, con andamento N-S. Essa è databile tra la fine del VI e gli inizi del V secolo e si differenzia dalle altre sepolture della zona sia strutturalmente che per la composizione del corredo funebre (fibule in osso a forma di volatile, due alabastra, corona funeraria ad elementi conici dipinti in rosso, resti di cofanetto in osso); interessante, nella stessa tomba, il rinvenimento, ancora in situ, dei quattro ganci di ferro con resti lignei relativi alla cassa deposta nel sarcofago.

Nel corso dell’intervento sono state scavate tombe a fossa semplice e a semicamera, con o senza copertura; in quest’ultimo caso l’individuazione del corredo e della deposizione (vuoi relativa a inumati che ad incinerati), senza tracce di violazione, consente di ipotizzare l’originaria esistenza di coperture lignee, cui si riferirebbero gli incassi presenti all’esterno di alcune fosse.

Un altro dato interessante consiste nell’aver individuato diverse tombe a fossa con. incinerazione, relative soprattutto alla fase di III-II secolo, in cui la composizione del corredo presenta le stesse caratteristiche delle coeve sepolture ad inumazione.

Dal punto di vista strutturale si segnalano la tomba 3 a semicamera, intonacata con nicchie, e la tomba 16, a camera con vestibolo quadrangolare e letto funebre intonacato, a «T» (tipologia già attestata nella necropoli tarantina), che hanno restituito moltissimi elementi relativi al monumento funerario esterno, in carparo. Ricordiamo fra gli altri un frammento di dito, pertinente forse ad una statua marmorea a grandezza naturale, ed un rilievo (forse di acroterio) in pietra tenera con figura femminile in corsa verso destra, relativa probabilmente ad una scena di ratto.

La tomba 16 presentava sul letto funebre i resti di un inumato di sesso femminile, del cui corredo faceva parte anche un orecchino d’oro con pendente ad erote e, ad un livello superiore, un’olla cineraria in terracotta, nonché un’ulteriore incinerazione concentrata presso la porta. La realizzazione della tomba 16, inquadrabile tra la fine del III e gli inizi del II sec. a.C., ha comportato la parziale distruzione di una tomba a fossa senza copertura (la 21), di cui è stata asportata la testata orientale, successivamente tompagnata con un blocco squadrato per completare la parete occidentale del vestibolo.

Il corredo della tomba 21, relativo a un individuo in età giovanile, risultava accatastato presso la fiancata settentrionale della fossa insieme con il cranio, mentre il resto della deposizione era perfettamente in situ.

Oltre alla documentazione fornita dallo scavo di via Alto Adige, altre aree della città ci hanno permesso di accrescere le conoscenze sul rito incineratorio fra il IV e il I sec. a.C., finora trascurato e spesso neppure notato durante le frettolose indagini in area urbana.

A tal proposito, un’importanza notevole sembra rivestire la tomba l rinvenuta in corso Piemonte durante i lavori dell’ENEL, caratterizzata da una fossa rettangolare ricavata nella roccia, molto profonda, in cui sono stati rinvenuti una pelike apula a figure rosse inquadrabile nel terzo venticinquennio del IV sec. a.C., contenente i resti di un incinerato, nonché il corredo relativo, messo in luce in uno strato carbonioso spesso oltre cm 20 sul fondo della sepoltura; particolare, quest’ultimo, che potrebbe far ritenere che la fossa stessa sia servita da ustrinum. Durante lo svuotamento della pelike in laboratorio, inoltre, sono stati rinvenuti i resti di una corona funeraria in bronzo e un anello in oro riproducente due kantharoi affrontati.

Tra la fine del II e gli inizi del I sec. a.C. si può collocare, invece, la tomba 6 di via Cesare Battisti, a sarcofago di carparo intonacato, contenente al centro i resti di un incinerato e un’olia con coperchio presso l’angolo NE, il cui contenuto non può essere riferito ad un’altra cremazione, ma forse all’inumazione di un neonato.

Gli altri rinvenimenti, di via Sardegna, corso Piemonte, via Lombardia, via Cesare Battisti, via Cagliari, rientrano nelle tipologie note riferibili ad età ellenistica e servono a colmare progressivamente le maglie del settore orientale della necropoli compresa entro le mura.

Ad area suburbana, invece, va riferito il nucleo di necropoli, databile tra la fine del IV e il III sec. a.C., con una fase più recente del II-I secolo, indagato in una zona antistante il convento dei Cappuccini nell’ambito dei lavori di ampliamento della Stazione Ferroviaria, non lontano dall’altro del quartiere Tamburi di cui fu data notizia l’anno scorso.

Nell’area, che potrebbe corrispondere alla parte superstite dello Scoglio del Tonno, notissimo per l’insediamento protostorico, le tombe sono a fossa, scavate nel carparo o nel bolo compatto e coperte da doppie lastre litiche, oppure terragne con copertura di tegole. Da una tipica tomba a semicamera di età ellenistica provengono fra l’altro due orecchini in oro con pendenti ad ero te e rosetta con granato.

Sempre per quanto riguarda la città di Taranto, è stato recentemente intrapreso lo studio volto ad un corretto restauro del tempio greco arcaico detto «di Poseidon». La progettazione dei nuovi e auspicati conclusivi interventi si avvale del ricorso a tecnologie avanzate, per il conseguimento dei necessari dati sullo stato di conservazione e per la verifica ed il raffronto fra l’attuale e l’originaria giacitura spaziale delle colonne superstiti.

I successivi interventi mireranno perciò non solo a rimuovere le cause di degrado, ma anche a recuperare una corretta lettura del monumento e ad organizzare e qualificare gli spazi circostanti in rapporto con la fruizione e la conservazione di tutte le testimonianze, fino a quelle più recenti.

Nel 1985, la Soprintendenza ha infine avviato una serie coordinata ed organica di interventi di protezione e restauro della villa romana sita in località Torre Saturo nel comune di Leporano, parzialmente scavata fra il 1969 ed il 1970.

Con il disinteressato apporto della Nuova Italsider, che ha installato grandi strutture protettive realizzate con carpenterie tubolari in acciaio, sono stati quindi avviati tutti quei lavori preliminari all’auspicata realizzazione di un parco archeologico.

GIUSEPPE ANDREASSI