Dal 1981 al 1990

1989

Nella relazione dell’anno precedente, si era fatto un breve accenno al prossimo inizio dei lavori di ristrutturazione del Museo di Taranto, grazie a finanziamenti FIO. Non tanto perché Taranto è la sede tradizionale di questi Convegni, ma piuttosto perché mi pare che le vicende legate a questo argomento siano degne di essere ricordate, vorrei cominciare quest’anno proprio da questo argomento.

La disposizione ministeriale per la consegna dei lavori, da effettuarsi il 19 ottobre 1988, prevedeva che l’incarico di Direttore dei Lavori ed Ingegnere Capo fosse cumulativamente attribuito al Soprintendente ai Beni Ambientali e Architettonici. In tal modo il Soprintendente Archeologo non ha fatto altro che presenziare al verbale di consegna, consegnare gli immobili oggetto dei lavori, far mettere a verbale le proprie riserve. Il progetto finanziato prevede due categorie principali di lavoro: la ristrutturazione dell’ex convento di San Domenico, nella città vecchia, ad uso degli uffici della Soprintendenza; la ristrutturazione dell’edificio ove ha attualmente sede il Museo, al fine di utilizzarne l’intera cubatura ad esposizione.

Da quanto schematizzato, risulta che la natura dei lavori da compiere è duplice: la prima, strettamente architettonica, riguarda l’intera ristrutturazione del San Domenico; la seconda, invece, è prettamente archeologica e riguarda sia il progetto, e la realizzazione, dell’allestimento del Museo Nazionale Archeologico, sia le opere edilizie che si renderanno necessarie al fine di utilizzare l’edificio come museo. Credo sia ormai entrato nella coscienza comune che ciò che precede, in un progetto museale, è lo studio del contenuto; non la realizzazione, o la ristrutturazione in questo caso, del contenitore. La vigente disposizione ministeriale ignora tale metodo di procedura: e a tale ignoranza aggiunge una sottovalutazione, assai pericolosa in più direzioni possibili, a riguardo dei funzionari architetti in servizio presso le Soprintendenze Archeologiche.

In quanto che, ovviamente, il destino toccato a Taranto è del tutto uguale a quello toccato alle altre Soprintendenze Archeologiche destinatarie di finanziamenti FIO. Infatti, i funzionari architetti in servizio presso le Soprintendenze ai Beni Ambientali e Architettonici risultano vincitori di un concorso del tutto uguale, in quanto comune, a quello superato dai funzionari architetti in servizio presso le Soprintendenze ai Beni Ambientali e Architettonici.

Poiché questi funzionari, del tutto uguali agli altri, non sono stati ritenuti degni di ricoprire responsabilità di queste Direzioni di lavori, i casi di interpretazione possibile mi paiono solamente due: o le assegnazioni in servizio di architetti alle Soprintendenze Archeologiche hanno seguito un criterio di selezione dei peggiori; o, per un funzionario architetto, il prestare servizio presso una Soprintendenza Archeologica equivale ad un’autosqualificazione da incarichi di notevole interesse professionale. Quale che sia l’interpretazione reale, mi sembra chiaro che si è di fronte ad una presa di posizione dell’Amministrazione Centrale nei confronti del merito dei lavori e delle professionalità interessate che non può che suscitare le più vive perplessità. Anche perché una sottovalutazione del merito archeologico fu alla base della malaugurata, anche se finora sconfitta, iniziativa ministeriale di tentare di accorpare le competenze archeologiche delle province di Bari e Foggia a quelle della Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici.

Nel concreto dei fatti, si è proposto più volte di dividere l’operazione FIO in due lotti: quello di San Domenico è, e resta, di esclusiva competenza architettonica. La ristrutturazione, di un edificio storico sembra la tipica materia di competenza della consorella Soprintendenza. Invece, la ristrutturazione dell’attuale museo, funzionale ad ospitare un nuovo e diverso allestimento di natura esclusivamente archeologica, avrebbe dovuto ricadere sotto la competenza, altrettanto tipica, della Soprintendenza Archeologica. Ma, a quanto consta attualmente, neanche questo tentativo di mediazione ha sortito esito alcuno. E non sappiamo se il motivo di tale silenzio è nel desiderio di non recedere da una precedente decisione, o se invece è motivato dall’impossibilità, o dalla non volontà, di operare su lotti distinti. Rimane, allo stato, il fatto che, ormai da quasi un anno, dei lavori FIO per la ristrutturazione del museo archeologico io non ne so nulla, e quindi ho appreso con molto piacere dal Direttore Generale Sisinni che tutto va bene. Tuttavia, si è cercato, nonostante la situazione illustrata, di non perdere la buona occasione per continuare ad esercitare la nostra professionalità di archeologi.

Cioè a dire, abbiamo redatto un progetto di come, secondo noi archeologi, dovrebbe essere il nuovo museo di Taranto.

Riassunto in breve, il progetto si articola conseguentemente ad una tesi: che l’allestimento deve tendere a presentare nella maniera maggiormente comprensibile, anche per il pubblico non specialista, la valenza culturale della documentazione archeologica. Per tentare di raggiungere questo scopo, l’organizzazione dell’allestimento deve offrire spunti immediati di pronta interpretazione, in specie ai non specialisti. E, pertanto, deve presentare la documentazione non di categorie, proprie ed esclusive del mondo della ricerca, ma tentare di esemplificarne altre, che offrano di per sé agganci immediati.

Come tali si sono identificate categorie spaziali e funzionali: si propone, pertanto, di studiare un allestimento documentario, basato sui materiali archeologici, delle diverse e successive vicende attraversate dalle comunità che hanno vissuto nel luogo dell’attuale Taranto, e nel suo comprensorio, durante l’evo antico. Tali vicende saranno scomposte, come si accennava, per categorie funzionali: l’abitare, il produrre nelle sue numerose e diverse forme, il commerciare, il morire, il rendere culto, l’organizzare la socialità e la politica, il fare la guerra. L’indifferenziazione tipologica che potrebbe derivare da una organizzazione del genere si prevede debba essere controbilanciata da un costante incrocio con un’ulteriore categoria: quella economica e politica. Il variare delle produzioni, della forma urbana, dei recapiti commerciali dovrebbe essere riportato agli effetti che afferiscono, appunto, all’economia e quindi alla politica. Nell’affrontare un tale lavoro ho trovato molti motivi d’interesse: e spero che la sensazione sia uguale per coloro che lavorano con me a questo proposito.

D’altro canto, un’esposizione completa del progetto molto più articolata e documentata di quanto qui accennato, sarà pubblicata, ci si augura in tempi brevissimi. Tale edizione, almeno nelle intenzioni, costituirà il volume O di una serie di cataloghi del Museo di Taranto. Si vorrebbe, con questa iniziativa, procedere sistematicamente a pubblicare quanto è stato conservato, fino ad oggi, nel Museo di Taranto. Il programma, finora provvisorio, prevede sia studi che illustrino le situazioni storico-topografiche dalle quali si sono recuperati i ritrovamenti, sia analisi ed interpretazioni dei materiali, in contesti e in quanto pertinenti a determinate classi di produzione. Anche sotto l’aspetto dell’edizione vorremmo creare una trama di conoscenza intrecciata, come ci si propone di fare nell’allestimento museale: evidentemente, in ognuno dei due casi osservando le specifiche tecniche relative. La possibilità di realizzazione del programma dei cataloghi è stata offerta dall’Editore Scorpione e dall’Editore De Luca; i cataloghi non si pongono né in alternativa né in contrapposizione con singole iniziative di studio e di edizione. Infatti, i cataloghi rappresentano solamente la sistematizzazione programmata delle conoscenze: ma non di certo l’esaurimento delle stesse. A questo proposito, vorrei ricordare che, per quanta è stata la mia competenza, non ho mai posto divieti né a visionare materiali né allo studio di essi, da chiunque fosse richiesto.

Ciò, beninteso, con un’unica cautela: se il periodo di ritrovamento o di scavo è vicino nel tempo, previo benestare del funzionario che diresse lo scavo. Il concetto «vicino nel tempo» richiede una precisazione: lo intendo come delimitato a dieci anni.

Quanto detto mi auguro sia sufficiente per un’informazione generale sul museo di Taranto e le attività collegate.

PIETRO GIOVANNI GUZZO