Dal 1991 al 2000

1992

I lavori, invece, che son potuti continuare (o iniziare) con una certa tranquillità sono stati quelli già finanziati e appaltati sulla base di leggi speciali, la 449 del 1987 e la 67 del 1988. Si tratta soprattutto di interventi sui musei, ma anche di espropri o di realizzazioni di parchi archeologici. Nel primo settore, si sono praticamente conclusi i lavori di adattamento e messa a norma dei musei di Altamura, Gioia del Colle ed Egnazia; nel campo delle acquisizioni, si segnala per impegno l’esproprio di una parte considerevole dell’abitato peuceta di Azezio nel Comune di Rutigliano (Bari); nel campo degli interventi di valorizzazione territoriale, non hanno invece potuto avviarsi né il recupero, con i conseguenti interventi conservativi, del relitto di Punta dell’Aspide a Santa Caterina di Nardò, né, a Taranto, la realizzazione del parco delle mura e della necropoli greca in località Collepasso.

A tal proposito, desidero sottolineare anche in questa sede, con profonda amarezza, le difficoltà che stiamo incontrando per l’avvio dei lavori, peraltro già finanziati, nel complesso del Sant’ Antonio (da anni abbandonato dopo il trasferimento altrove del carcere di Taranto), che nei nostri programmi dovrebbe accogliere laboratori e depositi della Soprintendenza a completamento del più generale progetto F.I.O. sul «Polo museale tarantino». Anche in questo caso, come per Collepasso, non si è infatti riusciti ancora a rimuovere le difficoltà, forse degne di miglior causa, frapposte dall’Amministrazione centrale del Demanio, nonostante l’ottima disponibilità dimostrata dalla locale Intendenza di Finanza.

Di tutte queste attività, ma anche degli interventi programmati sin dal 1990 e realizzati nella seconda metà del 1991, nonché dei lavori promossi dai numerosi concessionari attivi nella regione, si riferisce, per quanto in maniera preliminare, nel Notiziario, per un totale di 75 schede distinte per tipologia degli interventi (scavi e scoperte; restauri e valorizzazione; mostre, studi e attività promozionali) e, nell’ambito della prima sezione, per periodo cronologico.

In questa sede, invece, limiterò la mia attenzione a due soli interventi di particolare rilevanza.

A Taranto, un’iniziativa molto attesa, anch’essa finanziata con le leggi 449 e 67, è potuta partire proprio quest’estate e riguarda il recupero dei resti del tempio dorico arcaico a piazza Castello (tav. LXII) con la sistemazione dell’area circostante. Essa ha goduto del favorevole interesse delle amministrazioni succedutesi al governo del Comune di Taranto nel corso dell’anno, così come, peraltro, avevano beneficiato dell’intervento comunale gli stessi espropri iniziati nel 1966.

In precedenza l’area era stata interessata dai sondaggi di

Luigi Viola del 1881, dalle ricerche promosse dal soprintendente Attilio Stazio a partire dal 1966 in concomitanza con l’acquisizione della piccola chiesa della Trinità e del palazzo Mastronuzzi, dagli scavi condotti, in concomitanza con la demolizione degli edifici espropriati, dal soprintendente Felice Gino Lo Porto nel 1972-73\ fino ai saggi stratigrafici eseguiti nel 1978 da Fedora Filippi.

Successivamente, la zona era finita in uno stato di gravissima decadenza, contro cui a poco erano valsi gli interventi di manutenzione della stessa Soprintendenza.

L’area interessata attualmente dagli scavi, compresa fra via Duomo a nord, con l’angolo della demolita chiesa della Trinità, piazza Castello a sud e ad est, l’ex convento di San Michele (poi caserma dei Carabinieri) ad ovest, comprende tutta quella originariamente occupata dal convento dei Celestini, abbattuto in più riprese a partire dal 1927, quando il soprintendente Quintino Quagliati riuscì a fermare i lavori per la costruzione del Palazzo delle Poste.

La vasta superficie che costituisce oggi il cantiere (tav. LXIII) presenta tutta una serie di evidenze che ora coesistono forzatamente, sia allo stato di resti archeologici sottoposti ai moderni piani di calpestio sia come resti di strutture in elevato, in un complesso cronologicamente non omogeneo, che va dalle tracce dell’insediamento protostorico già individuate nel 1978 allo stesso tempio arcaico e al santuario nel suo complesso, sino alle fasi medievali e rinascimentali, di cui sono testimonianza, fra l’altro, le magnifiche ceramiche tardo-medievali recuperate negli anni 1972-73.

L’intervento conoscitivo, che è stato ed è tuttora condizionato dalle alterazioni subite in anni più o meno recenti dal sito, è stato avviato in estensione, sia ad est del muro perimetrale della chiesa della Trinità, sia negli spazi attualmente disponibili a nord e a sud delle colonne superstiti del tempio greco.

Nel settore orientale sono emerse estese cave di carparo, databili genericamente al Medioevo, le quali, avendo cancellato ogni eventuale traccia della frequentazione antica, costituiscono ad oggi l’elemento di cronologia relativa più alto; ad esse si appoggiano delle strutture, realizzate in blocchi irregolari di carparo con copioso legante, tra le quali sono due grossi muri orientati nord-sud ed uno orientato est-ovest, che insistono sopra una muratura più antica orientata m senso est-ovest, appoggiata anch’essa sul banco roccioso.

I muri più recenti, che presentano diversità di aspetto e sono riferibili probabilmente alle fasi quattrocentesche del convento dei Celestini, sono stati poi utilizzati per appoggiarvi delle volte a botte che coprono almeno due cisterne, già individuate nel 1972-73 e collegate ad una più grande cisterna ottagonale che si configura, al momento attuale, come una struttura piuttosto complessa, con volta a spicchi e scaletta di accesso, circondata, a quanto pare, da un ambulacro pavimentato con mattonelle quadrate in cotto, del quale rimane solo un piccolo tratto. La stessa pavimentazione è riscontrabile intorno a due piccole fornaci a ferro di cavallo, in posizione affrontata, che formano, assieme ad alcune vasche di decantazione per l’argilla, un contesto omogeneo con la cisterna ottagonale. Il complesso, quindi, riveste particolare interesse per la coesistenza di strutture conventuali e unità produttive.

Nell’area a ridosso dello stilobate del tempio arcaico, per il momento sono stati solo rimossi i blocchi di carparo fuori contesto, dopo averli siglati, mentre si stanno isolando i tratti a suo tempo già messi in luce per poi procedere allo scavo stratigrafico dei lembi superstiti del deposito antico.

Sono stati comunque subito riconosciuti il muro, probabilmente altomedievale, parallelo al muro perimetrale del convento di san Michele (tav. LXIV,l), nel quale è reimpiegata una colonnina in carparo a fusto liscio, il basolato della strada già a suo tempo individuato a tratti sotto via Duomo (tav. LXIV,2) ed alcuni fra pozzi e cisterne, sia a nord che a sud della peristasi greca. Si tratta, è evidente, di una situazione molto complessa ed articolata, per una serie di connessioni e di interferenze tra le varie fasi storiche e architettoniche, che ancora una volta evidenzia la necessità di una ricerca in estensione, da riferire anche ai saggi effettuati negli anni scorsi nel complesso del San Michele, in piazza Castello e in vico Nasuti\ per ottenere una documentazione ed una interpretazione per quanto possibile esaustive non solo riguardo al tempio arcaico, ma rispetto a tutte le fasi e forme insediative dell’area, che si presta, anche per la sua posizione di cerniera fra l’Isola ed il Borgo, a diventare un punto di riferimento fondamentale per tutta quanta la città, attraverso una sistemazione già progettata, ma che dovrà subire parziali modifiche proprio per adeguarsi ai risultati degli scavi in corso.

GIUSEPPE ANDREASSI