Dal 1991 al 2000

1998

Sempre restando nel tema del Convegno, abbiamo realizzato nel Museo Nazionale una piccola ma significativa mostra sulle ricerche effettuate a Taranto, a partire dal 1990, nell’ambito di palazzo Delli Ponti (tav. XCV,l), che per la prima volta hanno aperto anche inattesi squarci sulla topografia e sulla storia di Taranto in età tardoantica, attraverso la scoperta, in particolare, di un ipogeo funerario scavato sulla fronte del banco tufaceo che caratterizza il ‘salto di quota’ fra la parte alta della Città Vecchia e la costa del Mar Piccolo, comprendente diverse tombe ad arcosolio scavate nelle pareti ed intonacate ed otto sepolture a fossa, inquadrabili nell’insieme fra il IV e il V secolo d.C.; sito abbandonato precocemente a causa dei continui crolli della volta, ed oggetto di spoglio già nel VI-VII secolo d.C.

Venendo in chiusura a Taranto, va sottolineato come in particolare nella Città Vecchia siano già in avanzata fase di realizzazione alcuni dei progetti P.O.P. finanziati dalla Regione con risorse comunitarie, dal restauro di palazzo Delli Ponti con la valorizzazione degli annessi ipogei agli interventi riguardanti la Biblioteca Arcivescovile e Palazzo D’Aquino.

Sono anche ripresi in questi giorni nei pressi del Palazzo di giustizia, dopo una pausa di alcuni mesi imputabile a problemi di ordine burocratico, i lavori nell’area archeologica di via Marche, dove è stata realizzata la prevista struttura di ricezione e controllo, nonché l’ordito della copertura metallica.

Degli altri interventi finanziati (area archeologica di largo S. Martino in Città Vecchia; sistemazione del parco archeologico di Solito-Corvisea; area per il turismo itinerante presso Collepasso; area di collegamento fra le zone di Solito-Corvisea e Collepasso), alcuni sono stati avviati nel mese di settembre, mentre per altri si stanno definendo e risolvendo problemi di carattere amministrativo e legale.

Tra le indagini, per lo più di emergenza, svolte nel tessuto urbano di Taranto, sembra opportuno segnalare il rinvenimento di alcune tombe nella Caserma Cugini, nel settore nordorientale dell’abitato antico, riferibili prevalentemente alla fase di frequentazione arcaica; intervento che ancora una volta ha posto in evidenza le difficoltà operative che s’incontrano per la tutela dei resti antichi ricadenti in aree militari.

Per la fase ellenistica, oltre ai rinvenimenti di sepolture a fossa e a semicamera connessi con i lavori in corso per il potenziamento della rete telefonica, va ricordato lo scavo di un’interessante tomba a camera lungo la rete fognaria in via Rintone angolo via Catone, ricadente nella nota e feconda proprietà Lo Iucco e che risultava già scavata e depredata probabilmente nel secolo scorso, con numerosi frammenti del sema funerario ancora conservati nel terreno di riempimento. Per analogie strutturali con altri ipogei tarantini e per le caratteristiche dei resti del letto funebre collocato all’interno della cella funeraria, con piedi a volute e tracce della decorazione a palmette in rosso, l’ipogeo può essere inquadrato fra i decenni finali del IV e gli inizi del III secolo a.C. Risulta, invece, poco attestato lo sviluppo del dromos di accesso, in ottimo stato di conservazione, che ha gradini definiti marginalmente da una zona pure ricavata nel banco di roccia e levigata, una specie di ‘scivolo’ che a ridosso delle pareti raggiunge il piccolo vestibolo antistante la porta.

Nella chora, a seguito di una segnalazione del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, tradizionalmente molto presente sul territorio tarantino a tutela del patrimonio archeologico, è stata indagata parte di un’area riferibile a un nucleo insediativo a carattere rurale con annessa necropoli, ubicato immediatamente a ridosso del settore sud-orientale dell’abitato lungo una delle direttrici viarie che dall’abitato proseguivano verso est oltre il limite del circuito murario, corrispondendo oggi a viale Unità d’Italia, la cosiddetta via per Talsano.

Le ricerche, concentrate su alcune tombe già in luce a seguito dell’intervento degli scavatori clandestini, hanno interessato un nucleo di quattro sepolture: due a fossa ricavata nel banco di roccia e con doppio lastrone di copertura, una delle quali riferibile a una deposizione infantile; una a semicamera, con rozza kline centrale, parzialmente scavata nel banco e costruita nella parte superiore con blocchi squadrati intonacati, con l’utilizzo di zeppe calcaree e fittili per livellare il piano di imposta della copertura, distrutta e asportata dagli scavatori di frodo.

La quarta tomba, quella strutturalmente più rilevante, è una camera di dimensioni ridotte conservatasi al di sotto di un maestoso albero di ulivo, anch’essa in parte costruita con blocchi squadrati e intonacati, accessibile dal lato est attraverso una porta conservata ancora in situ e addossata al vano d’ingresso definito da stipiti a rilievo e da un gradino. Del dromos si conserva soltanto il gradino inferiore, mentre la parte restante si è persa a seguito della costruzione di un depuratore.

Una precedente violazione sembra, comunque, documentata dalla presenza di un foro tompagnato sulla fiancata meridionale e da frammenti d’infiltrazione riferibili ad età imperiale.

Del corredo si conservava all’interno della fossa soltanto un’oinochoe a vernice nera in frammenti inquadrabile nei decenni finali del IV secolo a.C., periodo cui va ricondotta tutta la necropoli.

La presenza di terrecotte architettoniche lascia anche supporre l’ubicazione, nelle zone limitrofe, del nucleo insediativo connesso con la necropoli, che andrebbe indagato prima che l’espansione urbanistica prenda d’assalto anche questa porzione del territorio.

Particolare interesse Taranto ha riservato nell’ultimo anno, soprattutto attraverso gli organi di stampa, alla mancata sistemazione delle due colonne doriche di piazza Castello, che in realtà rappresentano solo la parte meglio conservata di uno fra i più antichi templi in pietra della Magna Grecia, nonché la porzione emergente di una vasta e complessa area archeologica e monumentale; il tutto distribuito parte in proprietà del Comune e parte in proprietà dello Stato, con caratteristiche tali da richiedere, per l’intervento, una forte intesa anche formale fra le due Soprintendenze, il Comune, l’Amministrazione delle Finanze e la stessa Provincia, proprietaria del contiguo ex convento di san Michele.

Tali resti furono posti in evidenza alla fine degli anni ’60 attraverso le demolizioni del convento dei Celestini, della chiesa della Trinità e di Palazzo Mastronuzzi, che hanno purtroppo irrimediabilmente lacerato il tessuto urbano in corrispondenza dell’accesso orientale alla città storica.

Dopo che con i fondi delle Leggi 449/87 e 67/88 la Soprintendenza è riuscita per la prima volta, fra il 1992 e il 1993, a indagare e documentare integralmente tutta l’area a suo tempo ‘colpita’ dalle demolizioni, ed in particolare ciò che rimane della frequentazione di epoca antica, siamo giunti alla convinzione che sia ormai da accantonare la parte di quel progetto, pur teoricamente pregevole, che vedeva la sistemazione dei resti archeologici al fondo di uno spazio gradonato liberamente accessibile; progetto, peraltro, che all’inizio degli anni ’90 non era stato neppure del tutto condiviso dal Comune. Abbiamo quindi predisposto, in collaborazione stretta con la Soprintendenza per i Beni A.A.A.S. 58 e nel rispetto del progetto P.O.M. di sistemazione generale della piazza in fase di appalto da parte del Comune, una ipotesi progettuale estremamente semplice ma, riteniamo, di assoluta garanzia sia per i resti antichi sia per la fruibilità complessiva di questa fondamentale cerniera urbanistica di Taranto, e comunque di facile attuazione e di ancor più facile reversibilità.

Proponiamo (tav. CV,l) così una netta distinzione fra un’area recintata che racchiuda, in vista, i resti antichi a ridosso del San Michele, anch’esso in attesa di avere sistemazione e destinazione d’uso, ed una più esterna a verde, liberamente accessibile e coerente nell’arredo con il resto della piazza.

Attraverso la conservazione di quanto resta dei muri della Trinità e la riapertura degli originari accessi da via Duomo, sarebbero anche assicurati sia la visibilità della zona archeologica dall’alto e da nord, sia il mantenimento ‘in traccia’ di un relitto importante delle preesistenze recenti, evitando comunque, attraverso nuove demolizioni, l’ulteriore snaturamento dell’ingresso alla Città Vecchia.

Per quanto riguarda il Museo di Taranto, lo scorso anno avevo potuto riferire del recupero degli 11 miliardi revocatici nel 1994 dal CIPE sul finanziamento complessivo (circa il doppio) del Progetto FIO ’86 per il “Restauro, recupero e valorizzazione del Polo Museale Tarantino”; avevo fatto cenno all’avviata ‘rivisitazione’ del progetto cui andavano ponendo mano la nostra Soprintendenza e quella di Bari, sin dall’inizio investita della direzione dei lavori; e avevo dichiarato l’impegno a far sì che i lavori non portassero mai a una chiusura completa del Museo.

Molte delle prospettive che andavano solo dischiudendosi nell’ottobre scorso hanno avuto un seguito, per quanto faticoso in rapporto con le forze disponibili. Gli uffici della Soprintendenza sono ormai trasferiti nel San Domenico, in Città Vecchia, mentre i depositi del materiale archeologico sono in avanzato corso di trasferimento nell’altro ex convento demaniale di Sant’Antonio, sito nel Borgo a non grande distanza dal Museo.

Il Sant’Antonio, il cui nucleo originario risale al XV secolo, è stato oggetto nel tempo di numerose trasformazioni, fino ai poderosi lavori compiuti tra la fine del secolo scorso e gli inizi del nostro per il suo adattamento a carcere. Attualmente, sono stati compiuti dalla Soprintendenza per i Beni A.A.A.S. alcuni lotti di ricerca e restauro sul nucleo storico del convento (tav. CV,2), mentre sono curati dalla nostra stessa Soprintendenza i lavori di adattamento funzionale60 volti a consentire la sistemazione, per quanto provvisoria, di parte dei materiali archeologici contenuti negli immensi depositi del Museo Nazionale.

Tornando a quest’ultimo, la bozza di progetto si è affinata, diventando esecutiva grazie ad alcune consulenze. E si è così potuta avviare la cantierizzazione della cosiddetta ‘ala Ceschi’, che corre lungo via Pitagora e comprende l’originario ingresso agli uffici della Soprintendenza ed il cortile ‘recente’ destinato ad accogliere, in un nuovo corpo di fabbrica, sia la hall d’ingresso al futuro nuovo museo, con tutti i ‘servizi aggiuntivi’, sia più efficaci collegamenti verticali.

Dallo scorso mese di giugno, si è pure realizzato lo sgombero delle sale dalla VI alla X della Sezione Classica, procedendo poi ad un riallestimento degli spazi rimasti ancora aperti al pubblico, la cui esposizione, in sostanza quella realizzata da Nevio Degrassi nei primi anni ’60, è stata provvisoriamente integrata con materiali provenienti in prevalenza dalla necropoli tarantina. Entro il mese di ottobre si prevede inoltre la chiusura al pubblico anche della Sala degli Ori, ma con il conseguente parziale riallestimento delle oreficerie nei Corridoi delle Terrecotte.

Nell’ambito del nuovo percorso di visita, è stata anche riservata parte di una sala a piccole esposizioni temporanee, che contiamo di rinnovare ogni due o tre mesi per tenere desta (localmente, e non solo) la curiosità e l’attei1zione sul Museo Nazionale. Si tratta di quello “Spazio MArTa” (uno dei possibili acronimi di “Museo Archeologico Taranto”) che ora accoglie la mostra, ricordata all’inizio, sull’ipogeo di palazzo Delli Ponti.

In rapporto con le prescrizioni dettate dai Vigili del Fuoco, ha dovuto essere esclusa dal percorso di visita anche la Sezione Preistorica, pur se non interessata immediatamente dai lavori.

Poiché lo stesso progetto di riallestimento del Museo prevede degli spazi dedicati alla preistoria, ma limitatamente al territorio gravitante su Taranto, possibili soluzioni per ripresentare un quadro complessivo della preistoria pugliese andranno cercate altrove: non solo decentrando presso altri musei della regione una parte dei materiali, tendenza peraltro già seguita da anni, ma anche cercando nuove sedi nella stessa città di Taranto. Sia pure a livello d’ipotesi preliminare, vado pensando allo stesso già citato complesso del Sant’Antonio, che attraverso i restauri in corso mostra sempre di più una rilevanza monumentale troppo significativa perché non ci si senta indotti a prevederne una pur parziale destinazione espositiva.

In chiusura, mi sia consentito un riferimento a margine dei non pochi appassionati interventi che hanno accompagnato quest’anno, sulla stampa e attraverso le emittenti televisive di Taranto, il nostro operare nel Museo e sul territorio, spiegandoli con lo stesso confine indistinto che c’è tra i principi spesso invocati dell’identità e dell’appartenenza: sicuramente positivo il primo, in quanto capace di darci la consapevolezza del nostro essere e delle nostre origini nel rispetto delle altrui diversità; quanto meno discutibile il secondo, in quanto capace di spingerei verso i lidi pericolosi, e purtroppo sempre attuali, della diffidenza e dell’intolleranza.

GIUSEPPE ANDREASSI